Bertozzi e Casoni
a cura di Paolo Toffolutti
a cura di Paolo Toffolutti
Vuoto a perdere
di Paolo Toffolutti
Un pic-nic anni '70, come non se ne vedevano da molto tempo.
Ormai, per non fare brutta figura, come minimo, tutti salgono al ristorante stellato!
Un incontro vocato al caso, tra chi viene e chi va, ciascuno distrattamente perso in sé “a fare cose, a vedere gente” in una vita caotica senza senso che ti passa davanti mentre sei impegnato a fare qualcosa d’altro. Uno spettacolo d’ipocrisia dove tutto già in partenza è compromesso, al margine della strada o in un campo, corrotto ed abbandonato.
Anche la vita prima di essere, viene ipotecata.
In “Finale di Partita”, un dramma di classe servo-padrone, ancor prima di iniziare il prendere o lasciare, tutto è già stato scritto tutto è già registrato.
Si tratta solo di recitare una parte.
Ora però, anche per la “società dello spettacolo”, il tempo è scaduto.
Stiamo vivendo a credito, sopravviviamo nel “dopo tempo”, nel “dopo vita” in una scena premasticata, previssuta, e già sputata da qualcuno che ci ha sequestrato, che ci ha rubato l’anima, il tempo, la curiosità, l’esperienza. Siamo dei sub vissuti.
Sia per il servo che per il padrone le ore di lavoro giornaliere non bastano più a pagare i debiti. Tutto il mondo è dominato dal “turbocapitalismo”, che ci sta inviluppando in un credito subprime di ore. Le giornate non bastano più a pagare i creditori, si parla già di: venticinque, ventisei, ventisette ore lavorative.
E ancora… Stefano Mancuso ci ha ricordato che anche per l’ambiente dove viviamo, le cose non vanno meglio: la massa delle sostanze artificiali prodotte dall’uomo sul pianeta ha superato la massa di risorse organiche che ha ereditato.
Stiamo seduti su una discarica a cielo aperto dove le risorse materiali organiche ed inorganiche, le energie quanto le stesse idee che ci sono state tramandate dal passato, le abbiamo distrutte, cristallizzate se non trasformate in fuffa.
Walter Benjamin così ci scrive:
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Non ci sta più trippa per gatti!
Oggigiorno sul “Titanic” si continuano a fare grandi veglioni e festeggiamenti. S’inscenano atavici rave party con sacrifici umani a base di nulla. Ci si allucina per il niente.
Nello svago, nell’euforia, nello sballo portato all’infinito, il figlio dell’uomo come due linee parallele si cerca disperatamente ma non si incontrerà mai. Si desidera un provvidenziale incidente, l’abiezione che ci traumatizzi, che ci mortifichi, che ci ferisca, che ci faccia accorgere che siamo ancora vivi.
Diceva Juan Mirò: “ per morire bisogna essere vivi”.
Ci hanno fatti diventati degli zombi, assetati di denaro, che nottetempo uscendo dalla nostra tana “cassa di abitazione” andiamo in giro a succhiare le risorse agli altri. Ma oggi ci stanno anche i bit-blood, il prelievo fai da te, lo fai in home-banking, comodamente, dalla tua cassa da morto.
Allora ti chiedo:
è questa la vita che ci è stata promessa?
“Leo, è questo che noi siamo?”
Che ne è stato della bella Victorine Meurent, la modella del più famoso “Pittore della Vita Moderna”, vestita di nudo col solo madido incarnato bianco, una volta passato il tempo a sua disposizione per la posa?
E ancora… Che ne sarà di quei due giovani, Ferdinand Karel Leenhoff, futuro cognato dell'artista, e di uno dei due fratelli di Manet, Eugène o Gustave, semisdraiato sul manto erboso e con il braccio allungato in direzione della giovane amica, non più in costume ma già in panni borghesi, presi dentro la conversazione sul noto motivo filosofico del “concerto campestre”?
Ma soprattutto… che ne è rimasto di quel prato verde, così simile ad un tavolo da biliardo, “che le palle ancora gli girano”, in forma di corso d’acqua, cespugli, alberi e un fondale che dischiude le quinte di un passato che è stato trasformato in un inferno?
Da qui in poi, nella modernità, solo impressioni, non più oggetti.
Così come al calar del secolo sta sparendo la natura ed il naturalismo, al sorgere del nuovo, sta iniziando l’artificio, l’arte astratta appunto, quella non oggettiva: senza gli oggetti.
Siamo sempre stati soli sulla terra, non ci sono mai stati fantasmi, non è mai vissuto nessun babbo Natale, nessun Angelus Novus, nessun Gesù bambino, nessun Gesù adolescente o Gesù Cristo, che dir si voglia. Nessuno, nessuno, proprio nessun profeta che ci possa indicare la strada giusta per ritrovarci, per andare a casa, per salvarci dalle nostre ipocrisie dai nostri improvvisi ed ingiustificati appetiti, dai nostri inganni, dai nostri sadici desideri! “L’arte serve a ritrovarsi”.
L’orda postmoderna ormai ha rotto le apparenze ed ha scavalcato gli argini: già da ieri… uomo mangia uomo.
Siamo una specie in via di estinzione, dove per assolvere il compito di sovralimentare i pochi ricchi sono stati affamati e resi prigionieri miliardi di poveri. Il bene per pochi è il male per molti. Il bene è il male! Caino contro Abele.
La morte è divenuta il motore che alimenta una catena di montaggio costruita per fare soldi distruggendo il mondo.
Senza trascurare nulla, tutto con estrema cura ed attenzione è stato programmato, preso, rubato razziato. Si sono messi i colletti bianchi ed i guanti per non lasciare tracce. Hanno usato sofisticati grimaldelli per poter entrare nelle vite degli altri: transazioni finanziarie, cambi di banconote, sanatorie, investimenti, evasione fiscale… Tutto ma proprio tutto alla luce del sole e delle telecamere! “Cos’è una rapina rispetto all’istituzione di una banca?”
Le ultime vestigia, gli avanzi, i rifiuti, quali monumenti a consumo di questa moderna civiltà vengono ora dissepolti e viene loro fatta un’autopsia da due attenti esploratori della storia contemporanea. Si tratta di riesumazioni di memorie, di “conversation piece” e resti oramai della contemporaneità. Il tempo è finito, andate in pace.
I due archeo-artisti del presente, un po’ in linea coi coniugi Anne e Patrick Poirier, Charles Simonds, Allan McCollum si chiamano Bertozzi&Casoni.
Sono una premiata impresa, che si è data il compito di scavare a fondo nella nostra falsa coscienza, nel nostro immaginario culturale per restituire al museo alcuni frammenti di un mondo perduto nell’ipocrisia e nella falsità del “dopo cena”, del dopo pranzo, piuttosto che di un dopo “colazione sull’erba”.
Terrecotte smaltate, immagini della perdita, dell’abbandono, della malattia, della morte, che abbiamo visto tutti ma mai fermato, così come le hanno mirabilmente fermate e fissate Bertozzi&Casoni nella glassa invetriata dello smalto.
Come un insetto di epoche passate nottetempo congelato nell’ambra e nella roccia, così un immagine di turboconsumismo ci viene restituita congelata ancora vivida nella ceramica allo sguardo.
Questi momenti di lotta di classe vengono celebrati, con un “realismo alla Balzac”, e oggi ci appaiono come pietre d’inciampo, dove lo spettacolo della società s’incrina, si piega su un’ala, e si prepara di lì a poco allo schianto.
Memento mori, o monumento all’effimero e al transeunte quotidiano, in mostra viene gettato a terra lo sguardo, come oggigiorno si gettano a terra le cartacce, i mozziconi di sigaretta, i rifiuti, i morti, tutti abbandonati senza troppo dire e farsi notare in un sentiero fuorimano della prima periferia cittadina.
Fasti di un decoro di vita pubblico-privata perduta e ritrovata, poi divenuti oggetti di culto in qualche chiesa o Museo di Capodimonte. C’è tutto il culto del cattivo gusto, “dell’insostenibile leggerezza dello sguardo” di un soprammobile kitsch. Il culto dell’oggetto abbandonato e ritrovato quindi il culto romantico di William Morris e John Ruskin della rovina e del ready-made duchampiano sedotto ed abbandonato. Veniamo posti al cospetto delle vestigia di un antico quanto contemporaneo banchetto. Nella postmodernità le distanze ed i tempi si sono compressi se non azzerati. Di un momento mancato, al quale non siamo mai stati invitati. Ci piace spiare tra gli avanzi, tra gli abiti ed oggetti usati da mercatino delle pulci, quanto osservare delle rovine. Resti di compostiera, propri di un Cezanne che già sogna un quadro cubista. Resti della proto neoavanguardia, già ammassati in una combinazione contraddittoria, gli uni sugli altri. Resti di scomposizione e disaccordo da manifattura suprematista. Ciascuna stoviglia, avanzo, cibo, o bevanda porta con sé la traccia indicale di segni ed azioni compiute da un potenziale commensale che li ha tagliati, morsicati, toccati, succhiati, sbucciati, sorbiti, addentati, schiacciati, sputati. Gesti compiuti ed ora andati per sempre perduti. Gli avanzi di un pasto ora memento mori ci richiamano ad una socialità andata perduta. Chi ha mangiato nel mio piatto? Chi ha dormito nel mio letto? Si assiste ad un fuoco ormai spento che ha lasciato vestigia e distruzione tutt’attorno. Della fattualità che è stata di un gesto, ci resta nulla più il suo simulacro. Copia della copia senza inizio o fine all’infinito. Ciò che tramanda questa esausta se non annoiata civiltà sono annoiati soprammobili che accolgono e raccolgono la polvere che accompagna il passaggio del tempo. Gli ultimi avanzi della civiltà dell’uomo degli oggetti ci stanno davanti. Le impronte, le tracce di forme, di gesti di comportamenti si stanno ormai rapprendendo. L’aura di rigor morti che ammanta da sempre la visione di un’opera d’arte sia essa architettura, scultura, pittura, ceramica… così come nella compostiera di un inizio del modernismo si è decomposta in un avanzo di colazione o pic-nic che dir si voglia che qualcuno ha abbandonato sull'erba.