Nata a Reggio Emilia nel 1966, si è diplomata all'Accademia di Belle Arti di Bologna. Si è trasferita in provincia di Ferrara dopo una serie di esperienze internazionali che l’hanno fatta conoscere come una delle artiste più interessanti della sua generazione (ha esposto alla Fondazione Querini Stampalia, al Palazzo delle Papesse di Siena, al Mart di Rovereto, ed è stata selezionata per l’International Studio Program del P.S.1 di New York).
La scelta del trasferimento è motivata dal fatto che in quelle terre l’elemento acqua è più forte, nella certezza che il Po diventerà una fonte sempre più importante nell’immediato futuro: così la Torelli ha posto il proprio rifugio nella campagna della Bassa davanti a un grande albero, il suo "albero guardiano", perché per lei Madre Terra è la portatrice della vera radice della vita. Ora vive a Torino, dove il Po nasce.
Nata a Ferrara nel 1955, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti a Bologna. Dal 1992 al 2002 l’artista collabora con la galleria Studio La Città di Verona con cui partecipa a importanti fiere internazionali. Partita da una riflessione sull’arte informale, che è alla base di tutti i suoi lavori, dopo il ciclo dedicato alle “poltrone” si è dedicata a quello delle “rose”, iniziato nel 2003, utilizzando varie tecniche tra cui il ricamo su tela. Questo ciclo, dedicato alla terra e alla coltivazione delle rose, nasce in concomitanza con il trasferimento dello studio dell’artista in campagna, in provincia di Ferrara. Ogni opera è per l’artista una pagina di diario, in cui ritualità, lentezza e pazienza del gesto hanno un ruolo determinante. Come nel grande arazzo di quasi tre metri intitolato Sur-naturale: non si tratta questa volta di una rosa, soggetto prediletto dall'artista, ma di una camelia, simbolo decorativo cinese che l’artista ha tratto da una vecchia tappezzeria parigina dell’inizio del secolo. Stupefacente è la tecnica utilizzata per un'opera così grande: ogni petalo è realizzato con centinaia di spilli, che, sapientemente affiancati e direzionati, creano le morbide volute tipiche di questo fiore. La fitta trama di spilli lucenti si presenta come un raffinato ricamo d’argento, circondato da una cornice decò. Ora la sua ricerca si sta indirizzando verso una matrice più informale e astratta.
Non sono semplici riproduzioni fotografiche dei dipinti e degli acquerelli di William Turner, le light box di Hiroyuki Masuyama.
Si tratta, invece, di un'operazione di matrice concettuale sul metodo di lavoro del grande artista inglese. Il soggetto sono le opere che Turner ha realizzato durante il suo viaggio da Londra a Venezia. Masuyama ha ripercorso le tappe del viaggio e come Turner ha preso appunti visivi, solo con un medium diverso: dal disegno è passato alla fotografia.
Allo stesso modo di Turner, che portava con sé appunti grafici e memorie di viaggio in Inghilterra, dove realizzava le opere, Masuyama porta le immagini scattate nel suo studio di Düsseldorf e le sottopone a una complessa operazione di montaggio.
Le immagini di viaggio e le immagini dei dipinti di Turner, diventano così nelle opere di luce, un unicum armonioso in cui vengono superati i limiti spazio-temporali.
La ricerca di Dacia Manto (Milano, 1973) ha come oggetto territori fluviali e palustri, residui di boschi planiziari, periferie marginali e semiselvatiche. Osservatori strutturali e poetici sulla natura. I suoi lavori sono architetture aperte e precarie, testimoni dell’inafferrabilità dell’ambiente.
Ha esposto in importanti realtà pubbliche museali tra cui il Pav di Torino, il MAR di Ravenna, il MART di Rovereto, la Galleria Civica di Trento, il Pecci di Prato, il PAC di Milano, La Strozzina di Firenze, il Musée di Saint-Etienne e nel 2013 ha realizzato un progetto di Arte Pubblica per Tusciaelecta.
È nato a Faenza nel 1957. Vive a Bologna dove insegna “strategia dell’invenzione” all’Accademia di Belle Arti. La sua ricerca ha sempre cercato di catturare i cortocircuiti della realtà senza alterarne la fisionomia oggettiva, ma lasciando percepire ad un secondo sguardo lo scarto, lo strabismo, l’altrove. Dunque le serie "fuori dentro" o "doppio sguardo" ad interrogazione della soglia come apertura -chiusura bifronte e contemporanea dello sguardo. La presenza del mare è una costante in molte sue opere. Il lavoro più recente e' realizzato attraverso una duttilità dinamica, che conduce ad una speculazione sulla percezione della realtà e la sua possibile traduzione mediale, abdicando allo spettatore la difficoltà di distinguere fra illusione e realtà, come nella serie di edifici in cui porte e finestre sono state sostituite da specchi, creando un senso di straniamento nello spettatore.
Diverse le partecipazioni a mostre anche internazionali, dal Mart di Rovereto (2011) alla Biennale di Venezia (2005), dalla GAM di Bologna (2004) alla Annina Nosei Gallery di New York (2003). Hanno scritto di lui, tra gli altri, Peter Weiermair, Peter Weibel, Jonathan Turner, Emmanuel Cooper, Laura Cherubini, Claudio Marra, Luigi Meneghelli, Roberto Daolio, Ludovico Pratesi, Eugenio Viola, Valerio Dehò, Angela Madesani, Cristiano Seganfreddo, Sabrina Zannier, Daniele Capra, Martina Cavallarin.
Nato a Ferrara nel 1976. Ingegnere civile, è un artista specializzato in disegni di grandi dimensioni a penna Bic (alcuni arrivano addirittura a 8 metri di lunghezza). Sorprende per la sua maniacale abilità disegnativa, cui fa da contraltare un forte aspetto concettuale improntato sulla caducità della vita, sull’assoluta prossimità e vicinanza della morte. Le sue opere, tutte realizzate a mano libera avvalendosi unicamente di una quadrettatura, sono inizialmente incentrate sul tema degli insetti, sulla loro esistenza effimera e nel contempo affascinante, cui dedica un anno di ricerca. In seguito realizza, utilizzando sempre la penna biro, un altro ciclo di disegni incentrato sul tema della caducità dell’esistenza di scrofe e maiali, a cui segue, grazie alla collaborazione con una biologa marina della Nuova Caledonia, una serie di opere che fanno riflettere sui pericoli che l’attività antropica sta determinando per la fauna marina tropicale. Successivamente Carrà ha rivisitato alcuni capolavori di grandi artisti del passato: da Brueghel, reinterpretato alla luce del terremoto del 2012, a Zurbaran e Bosch, metafore per una riflessione sulla crisi morale della nostra epoca. Ha esposto alla Biennale di Venezia e in mostre personali al Museo di Storia Naturale e al Museo Casa Ludovico Ariosto di Ferrara, a Broni (Villa Nuova Italia), alla Galerie Antonio Nardone di Bruxelles, e a diverse fiere tra cui quelle di Miami, Basilea e Lugano.