Mario Cresci. Metafore
2 – 4 febbraio 2018, Palazzo Accursio, Bologna
a cura di MLB Maria Livia Brunelli
In questa selezione di opere in mostra al Palazzo Accursio di Bologna, la ricerca di Mario Cresci conosce un ulteriore passaggio aprendosi al dramma umano dei grandi flussi migratori.
Sono immagini di una crisi, in cui la forza estetica assume un preciso valore etico. Il campo fotografico, quello della sociologia e della politica si fondono e le fotografie, lontane dal mondo del fotoreportage, si propongono piuttosto come immagini assolute fortemente evocative. È il caso di Segnimigranti, una serie nata dall’emozione dell’artista per la morte tragica di oltre trecento migranti nelle acque di Lampedusa nell’ottobre del 2013. Sulla spiaggia di Giardini Naxos i massi di lava nera sono stati segnati con tempera bianca, un riferimento alla pittura corporea del mondo africano: numerazione dei corpi, ma anche liberatorio volo di gabbiani. Qui disegno e fotografia si intrecciano, perché Cresci traccia un segno essenziale, bianco, quasi a marchiare il terreno in modo delicato ma definitivo, per raccontare le vittime dei naufragi, gli assenti all’approdo, i dispersi senza nome. Il segno fotografato diventa al tempo stesso racconto e assunzione di responsabilità, l’artista si fa carico della tragedia prendendola su di sé, attraverso il gesto performativo, con l’essenzialità di un sentimento di pietas.
Alle immagini delle figure avvolte nelle coperte termiche (Icona, 2016), utilizzate nel salvataggio dei naufraghi, l’artista attribuisce la plasticità della scultura. Non è una semplice e pura ricerca di forma, ma un trasferimento di senso, uno spostamento, una traslazione, al di là del momento della rappresentazione. Sono umani senza volto perché hanno perso la loro identità, così come ogni altro bene materiale: sono le icone essenziali di un “approdo”. In questo senso anche l’astratta interpretazione delle coperte termiche. (Black silver, 2016) diventa simbolo di accoglienza e di tenera protezione. Mentre l’inesauribile capacità di trasformazione del fuoco diventa, in “Incandescenze #02”, un cuore nero di pietra lavica, simbolo di un luogo, Lampedusa e di una voluta capacità di accoglienza.
Essere presenti al proprio tempo significa evitare l’autoreferenzialità, il permanere attaccati a una tecnica, a una tematica, per diventare testimoni affidabili di un’umanità, in questo caso dolente e migrante. Le stesse scelte della poetica artistica di Cresci dimostrano senza soluzione di continuità negli anni, la messa a tema di questioni non solo estetiche ma politiche, etiche, culturali, di grande spessore e importanza.
Mario Cresci. Fin dagli anni sessanta è autore di opere eclettiche caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, l’esperienza video, il site specific. È tra primi autori in Italia ad applicare la cultura del progetto coniugandola a una sperimentazione sui linguaggi visivi. Nel 2004 realizza la sua prima antologica “Le case della fotografia. 1966-2004” alla GAM di Torino, mentre nel 2017 riassume i suoi cinquanta anni di attività artistica nella mostra “La fotografia del No. 1964-2016” alla GAMeC di Bergamo. Dal 2010 al 2012 realizza il progetto “Forse Fotografia: Attraverso l’arte; Attraverso la traccia; Attraverso l’umano” con una mostra itinerante nei musei di Bologna, Roma, Matera e pubblica, per i tipi Allemandi Edizioni, l’omonimo catalogo, un volume ricco di testi critici e immagini sul suo lavoro. Partecipa alla Biennale d’Arte di Venezia negli anni ’71, ’79, nel ’93 in “Muri di carta. Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie” e nel 2013 nella rivisitazione della storia mostra “Viaggio in Italia” (1994). Alcune sue fotografie sono nella collezione del MOMA di New York. Molti lavori sono raccolti in diverse collezioni d’arte e fotografia contemporanea di note collezioni museali permanenti. Attualmente insegna all’Università ISIA di Urbino e alla Fondazione Fotografia di Modena. Vive a Bergamo.
Opere in mostra:
Segnimigranti, Giardini Naxsos 2013, 12 stampe giclée, cm 37x56 cad.
Black Silver #01, #02, Bergamo 2016, stampa giclée, cm 150x200
Icona #01, #02, Bergamo 2016, 2 stampe giclée, cm 200x130
Incandescenze #02, Bergamo 2016, stampa giclée, cm 180x150
Mario Cresci. Metafore
2 – 4 febbraio 2018, Palazzo Accursio, Bologna
a cura di MLB Maria Livia Brunelli
In questa selezione di opere in mostra al Palazzo Accursio di Bologna, la ricerca di Mario Cresci conosce un ulteriore passaggio aprendosi al dramma umano dei grandi flussi migratori.
Sono immagini di una crisi, in cui la forza estetica assume un preciso valore etico. Il campo fotografico, quello della sociologia e della politica si fondono e le fotografie, lontane dal mondo del fotoreportage, si propongono piuttosto come immagini assolute fortemente evocative. È il caso di Segnimigranti, una serie nata dall’emozione dell’artista per la morte tragica di oltre trecento migranti nelle acque di Lampedusa nell’ottobre del 2013. Sulla spiaggia di Giardini Naxos i massi di lava nera sono stati segnati con tempera bianca, un riferimento alla pittura corporea del mondo africano: numerazione dei corpi, ma anche liberatorio volo di gabbiani. Qui disegno e fotografia si intrecciano, perché Cresci traccia un segno essenziale, bianco, quasi a marchiare il terreno in modo delicato ma definitivo, per raccontare le vittime dei naufragi, gli assenti all’approdo, i dispersi senza nome. Il segno fotografato diventa al tempo stesso racconto e assunzione di responsabilità, l’artista si fa carico della tragedia prendendola su di sé, attraverso il gesto performativo, con l’essenzialità di un sentimento di pietas.
Alle immagini delle figure avvolte nelle coperte termiche (Icona, 2016), utilizzate nel salvataggio dei naufraghi, l’artista attribuisce la plasticità della scultura. Non è una semplice e pura ricerca di forma, ma un trasferimento di senso, uno spostamento, una traslazione, al di là del momento della rappresentazione. Sono umani senza volto perché hanno perso la loro identità, così come ogni altro bene materiale: sono le icone essenziali di un “approdo”. In questo senso anche l’astratta interpretazione delle coperte termiche. (Black silver, 2016) diventa simbolo di accoglienza e di tenera protezione. Mentre l’inesauribile capacità di trasformazione del fuoco diventa, in “Incandescenze #02”, un cuore nero di pietra lavica, simbolo di un luogo, Lampedusa e di una voluta capacità di accoglienza.
Essere presenti al proprio tempo significa evitare l’autoreferenzialità, il permanere attaccati a una tecnica, a una tematica, per diventare testimoni affidabili di un’umanità, in questo caso dolente e migrante. Le stesse scelte della poetica artistica di Cresci dimostrano senza soluzione di continuità negli anni, la messa a tema di questioni non solo estetiche ma politiche, etiche, culturali, di grande spessore e importanza.
Mario Cresci. Fin dagli anni sessanta è autore di opere eclettiche caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, l’esperienza video, il site specific. È tra primi autori in Italia ad applicare la cultura del progetto coniugandola a una sperimentazione sui linguaggi visivi. Nel 2004 realizza la sua prima antologica “Le case della fotografia. 1966-2004” alla GAM di Torino, mentre nel 2017 riassume i suoi cinquanta anni di attività artistica nella mostra “La fotografia del No. 1964-2016” alla GAMeC di Bergamo. Dal 2010 al 2012 realizza il progetto “Forse Fotografia: Attraverso l’arte; Attraverso la traccia; Attraverso l’umano” con una mostra itinerante nei musei di Bologna, Roma, Matera e pubblica, per i tipi Allemandi Edizioni, l’omonimo catalogo, un volume ricco di testi critici e immagini sul suo lavoro. Partecipa alla Biennale d’Arte di Venezia negli anni ’71, ’79, nel ’93 in “Muri di carta. Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie” e nel 2013 nella rivisitazione della storia mostra “Viaggio in Italia” (1994). Alcune sue fotografie sono nella collezione del MOMA di New York. Molti lavori sono raccolti in diverse collezioni d’arte e fotografia contemporanea di note collezioni museali permanenti. Attualmente insegna all’Università ISIA di Urbino e alla Fondazione Fotografia di Modena. Vive a Bergamo.
Opere in mostra:
Segnimigranti, Giardini Naxsos 2013, 12 stampe giclée, cm 37x56 cad.
Black Silver #01, #02, Bergamo 2016, stampa giclée, cm 150x200
Icona #01, #02, Bergamo 2016, 2 stampe giclée, cm 200x130
Incandescenze #02, Bergamo 2016, stampa giclée, cm 180x150
Una serie continua di coincidenze ci sta indicando che questa è la strada giusta da seguire...iniziate a dicembre dell'anno scorso a Miami grazie all'incontro con Claude Corongiu della Galleria MACCA, continuate con Elena Calaresu di Alghero, con le forti affinità con la mitica Giovanna di Su Gologone. Ma il legame che mi lega alla Sardegna nasce nel 1972 quando la Gallura mi cura evitandomi l'asporto di un polmone. Aria e sole mi curarono in un lontano novembre del 1974. Qua mi sentivo me stessa e riuscivo a superare la mia atavica timidezza. Ora è venuto il momento di restituire a questa terra l'energia che mi ha dato e che continua a darmi, insieme alle persone con cui giocavo ai Puffi e a quelle con le quali vado alla scoperta delle calette più nascoste su un gommone scassato dal simbolico nome "Therapy", dove è stato ospitato anche un magico concerto dei Gipsy King solo per due.
Mario Cresci (Chiavari, 1942)
È tra i primi in Italia della sua generazione ad applicare e coniugare la cultura del progetto alle sperimentazioni sui linguaggi visivi.
La sua complessa opera affonda le proprie radici in studi multidisciplinari a partire dal 1964, anno in cui inizia a frequentare il Corso Superiore di Disegno Industriale a Venezia. Nel 1968 si trasferisce a Roma dove entra in contatto con Pascali, Mattiacci e Kounellis. Fotografa Boetti e il gruppo dell’arte povera torinese durante l’allestimento della mostra Il percorso, a cura di Mara Coccia presso lo Studio Arco d’Alibert. Nel 1969, presso la Galleria Il Diaframma di Milano, progetta e realizza il primo Environnement fotografico in Europa, nel nome del dualismo tra ricchezza e povertà.
A partire dagli anni Settanta ibrida lo studio del linguaggio fotografico e la cultura del progetto con l'interesse per l'antropologia culturale, realizzando in Basilicata progetti centrali per lo sviluppo della fotografia in Italia, tra cui ricordiamo il libro Matera, immagini e documenti del 1975.
Premio Niépce per l’Italia nel 1967, prende parte a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1970, 1978, 1993, 1995); dal 1974, alcune sue fotografie, insieme a quelle di Luigi Ghirri, fanno parte della collezione del MoMA di New York.
È autore di opere multiformi caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, l’esperienza video, l’installazione. Varie sono le tematiche e le sperimentazioni sviluppate nelle sue opere nel corso degli anni: dagli slittamenti di senso, alle variazioni, dalle analogie al rapporto con il paesaggio e i luoghi dell’arte – come nelle opere site-specific che appartengono alle ricerche degli ultimi anni, nate proprio grazie al confronto organico con determinati luoghi e le loro peculiarità storiche, culturali ed estetiche –. Per Cresci, infatti, la fotografia non è mai fine a se stessa, autosufficiente e singolare, ma è sempre parte di un racconto per immagini capace di coniugare conoscenza e bellezza, ricerca sul campo ed emozione visiva.
Il progetto sperimentale del laboratorio-scuola di formazione artistica tra arte, multimedia e design, ideato per la Regione Basilicata, lo avvicina sempre più all’insegnamento che, dalla fine degli anni Settanta in poi, diviene parte integrante del suo lavoro d’autore.